Lo spreco alimentare è un problema di grande impatto per l’ambient e la salute pubblica.
Ogni italiano genera nell’arco di un anno una quantità immensa di rifiuti generici, pari a circa 500 chilogrammi. Questo spesso è dovuto ad un modo di pensare e di agire per cui poco o nulla si può riutilizzare o trasformare.
Analizzando gli sprechi alimentari lo scenario diventa agghiacciante. Su 3,9 miliardi di tonnellate di alimenti prodotti, 1,3 finisce nella spazzatura.
Alcuni autori stimano che globalmente solo il 43% dell’equivalente calorico dei prodotti coltivati a scopo alimentare viene realmente consumato.
Ulteriori ricerche hanno evidenziato che esiste una notevole disparità generazionale. Gli over 65 che hanno vissuto in qualche misura il periodo del secondo dopoguerra tendono a sprecare meno. Chi appartiene ai periodi successivi in genere tende a sprecare molto più facilmente. Con un atteggiamento che in pratica si traduce in un maggiore spreco di cibo.
La FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) fornisce due precise definizioni per capire meglio il fenomeno degli sprechi:
Questi due aspetti sono strettamente legati allo spreco. Nel primo caso si considera una cattiva gestione della produzione e nel secondo una cattiva gestione dei consumi. Per analizzare il fenomeno in ambito italiano, con la Dott.ssa Rosamaria Elena Martimucci abbiamo indagato lo spreco di alimenti nella ristorazione.
Intervistando on-line 968 soggetti abbiamo cercato di capire quanto lo spreco alimentare possa essere correlato a :
Cercando di ottenere una serie di parametri che permettano di definire il “profilo” dei più o meno propensi allo spreco.
Si è richiesto ai soggetti intervistati di fornire informazioni sulla frequenza dei pasti consumati fuori casa. Specificando il numero delle pietanze ordinate e l’entità degli avanzi (se presenti).
ln caso di cibo avanzato è stato chiesto se si ricorre alla “doggy bag” (il confezionamento del cibo avanzato per consumo successivo).
Il nome doggy-bag deriva dal fatto che in un primo periodo gli alimenti avanzati venivano riservati al consumo degli amici a quattro zampe. In realtà oggi vengono forniti in modo da poter essere consumati anche da chi li ha ordinati.
Valutando la frequenza dei pasti al ristorante si è visto che quando superiore a 5/settimana il cibo avanzato non viene richiesto. Diversamente a quanto accade per le frequenze inferiori.
Gli uomini in genere tendono ad ordinare più portate e a consumarle per intero. Mentre le donne in genere ordinano solamente lo stretto necessario.
Quando non viene consumata l’intera porzione l’uomo in genere non richiede la “doggy-bag”. Questa abitudine è più comune nelle donne che in genere sembrano sprecare meno.
Analizzando i comportamenti su base regionale emerge come chi risiede nel Sud Italia e Isole generalmente non richiede la doggy bag. Mentre chi risiede nelle regioni del Centro-Nord porta più frequentemente a casa il cibo non consumato.
A questo punto occorre capire qual è il livello di consapevolezza dell’impatto che lo spreco alimentare ha sull’ambiente.
I soggetti nelle fasce di età tra i 18 e 50 anni si sono dichiarati sicuri dell’esistenza del legame tra spreco alimentare e inquinamento ambientale.
Il titolo di studio sembra avere un ruolo importante in questo. Il possesso di un diploma di scuola media superiore sembra legato a maggiore consapevolezza del legame tra spreco alimentare e sfruttamento di risorse e territorio.
Il problema sta nel fatto che questa consapevolezza molto spesso non è sufficiente nel far assumere comportamenti pratici per evitare gli sprechi
Ma quali sono le conseguenze dello spreco? Il costo in termini ecologici ed economici è davvero molto alto.
Da alcune ricerche emerge che lo spreco è correlato alla produzione di 25,7 milioni di tonnellate di ANIDRIDE CARBONICA. Inoltre si verifica una perdita di 6262 milioni di metri cubi di acqua ogni anno.
La filiera agro-industriale nell’insieme si dimostra responsabile di circa il 20% delle emissioni. Una ridotta efficienza nella produzione unita allo spreco del materiale prodotto sta impattando drammaticamente sull’ambiente a livello globale.
Negli ultimi due secoli la quantità di ANIDRIDE CARBONICA è aumentata gradualmente, raggiungendo concentrazioni superiori a 387 ppmv (parti per milione in volume). Questo valore è ben superiore all’intervallo di concentrazione naturale (180-300 ppmv) degli ultimi 800.000 anni e molto probabilmente degli ultimi 20 milioni di anni.
Rispetto al periodo preindustriale questo valore è incrementato di più del 40%.
È importantissimo cercare di avere consapevolezza al momento dell’acquisto di un qualsiasi prodotto alimentare. Considerando almeno fattori come il tipo di coltivazione (in serra o in campo) e il tipo e la necessità di trasporto.
Leggere attentamente l’etichetta e le informazioni sulla confezione di un prodotto si rivela fondamentale.
Il trasporto aereo di alimenti da un continente all’altro può generare circa 1700 volte più ANIDRIDE CARBONICA rispetto un trasporto in camion per 50 km. Fino ad alcuni decenni fa gli alimenti percorrevano brevi tragitti per andare dal produttore al consumatore. Oggi invece attraversano oceani e continenti, in alcuni casi purtroppo esclusivamente per dinamiche commerciali
Questo non per essere paranoici, ma per cercare con i consumi di influire positivamente sul mercato. Questo in modo che assuma delle dinamiche sempre più sostenibili.
È assolutamente necessario imparare a riconoscere l’impatto ambientale di quello che mangiamo. Questo per evitare oltre ai comportamenti direttamente nocivi per la salute, anche quelli che la compromettono indirettamente danneggiando l’ambiente.
A causa dell’imbarazzo che molte persone provano nel richiedere una doggy-bag vengono:
Provocando senza ottenere alcun beneficio un peggioramento dell’ambiente dove quotidianamente viviamo.
Evitare gli sprechi può sembrare un gesto in apparenza piccolo. In realtà non è così perché evidenzia un cambio di mentalità che favorirà comportamenti sempre più orientati al rispetto della vita, della salute e dell’ambiente.
Tante piccole riduzioni negli sprechi possono significare grandi risultati per la salute del pianeta e di chi lo abita.
Ringrazio la Dott.ssa Rosamaria Elena Martimucci per il contribuito nella stesura di questo articolo.