Da diversi anni la definizione di tessuto adiposo è divenuta obsoleta grazie a numerosi studi clinici che hanno messo chiaramente in evidenza l’importantissimo ruolo metabolico ed endocrino di quello che è stato poi propriamente definito “Organo adiposo” (tra questi è doveroso ricordare quelli del Prof. Saverio Cinti ordinario di anatomia presso L’università Politecnica delle Marche, premiato nel 2008 dall’Accademia Europea delle Scienze con il riconoscimento “Blaise Pascale” per la biologia e le scienze della vita e candidato al premio Nobel, primo a definire il tessuto adiposo come organo). In virtù dei numerosi processi metabolici che permettono di classificarlo come organo, come per esempio la produzione di sostanze ad azione ormonale come la leptina, adiponectina, resistina, interleuchina-6 (IL-6), Tumor Necrosis Factor α (TNF-α) e numerose altre, non è più possibile considerare un adipocita come un mero accumulatore di lipidi dal ruolo metabolico marginale e tanto meno un insieme di adipociti come un semplice tessuto. La comune origine delle sopra menzionate molecole ha permesso ai ricercatori di definirle appunto come adipochine o adipocitochine, ovvero molecole proteiche di segnalazione tra cellula e cellula (praticamente sostanze ad azione ormonale) prodotte proprio a livello dell’organo adiposo.
Alla luce di questi fatti risulta evidente come non sia più possibile riferirsi al sovrappeso e, in particolar modo all’obesità, come a problematiche marginali di rilevanza meramente estetica. Per comprendere quali processi metabolici basilari possano essere interessati da un’alterazione quantitativa dal punto di vista adipocitaro, risulta molto importante focalizzare l’attenzione su alcuni eventi relativi all’ipertrofia adipocitaria. La prima e ovvia conseguenza dell’ipertrofia adipocitaria è di “natura meccanica”, in virtù del fatto che le dimensioni medie di una cellula umana siano di circa 50 μm, a differenza di un adipocita ipertrofico che può tranquillamente raggiungere livelli superiori ai 100 μm. Risulta facile comprendere come questo fenomeno possa essere alla base di una compromissione del microcircolo dovuta principalmente a fenomeni ostruttivi e costrittivi a livello capillare. Oltre a questi fenomeni, è bene ricordare come l’aumento volumetrico degli adipociti abbia come ulteriore conseguenza l’aumento medio delle distanze tra i capillari e gli adipociti periferici, condizione che peggiora ulteriormente la condizione di ipossia.
Gli adipociti sono generalmente una popolazione cellulare che manifesta una notevole richiesta di ossigeno per entrambe le sue linee: gli adipociti bianchi, che sono già stati discussi e gli adipociti bruni, cellule con notevole potenziale litico, deputate principalmente alla termogenesi e particolarmente presenti nella prima infanzia. Condizioni ipossiche e ischemiche, oltre a compromettere la funzionalità degli adipociti bruni (riducendo i processi termogenetici e aumentando lo stress ossidativo), determinano più in generale una risposta correlata alla ridotta pressione parziale di ossigeno che implica l’intervento del fattore di trascrizione Hypoxia Inducible Factor 1 (HIF-1).
Questo fattore di trascrizione viene prodotto con l’obiettivo di compensare, per quanto possibile, la carenza di ossigeno, responsabile, di fatto, dei fenomeni infiammatori che si manifestano principalmente con i seguenti effetti:
Come noto la secrezione di IL-1, IL-6, TNF-α ha, tra gli altri effetti, quello di attivare i processi chemotattici volti all’attivazione del sistema dei monociti macrofagi che, giunti attivi presso il sito d’azione, in questo caso l’organo adiposo, oltre ad esercitare il proprio ruolo fagico sul materiale necrotico o comunque secondario all’infiammazione, iniziano a loro volta la produzione di ulteriori quantitativi delle già presenti citochine infiammatorie amplificandone di fatto il segnale.
Questi processi infiammatori generalmente si manifestano a livello sub-clinico e non sono quindi evidenziabili con le comuni metodiche di analisi ematochimica.Nei casi più importanti sono riscontrabili alterazioni a livello della Proteina C Reattiva (PCR). I principali effetti ascrivibili a questo incremento dei livelli di citochine infiammatorie in grado di innescare e sostenere il circolo vizioso IPERTROFIA ADIPOCITARIA → INFIAMMAZIONE SUB-CLINICA → OBESITÀ → SINDROME METABOLICA sono:
Alla luce di questi eventi intervenire a monte, interrompendo la catena di amplificazione del segnale infiammatorio, può rivelarsi una strategia vincente da affiancare alle già consolidate linee di intervento che prevedono un opportuno approccio a livello nutrizionale e a livello di attività fisica. Tra le numerose molecole di origine vegetale che possono rivelarsi particolarmente interessanti a questo fine, sicuramente la curcumina, estratta dal rizoma di curcuma longa, ricopre un ruolo di primaria importanza.
La curcumina o diferuloilmetano è un fenolo in grado di modulare la risposta infiammatoria down-regolando l’attività della COX-2, lipossigenasi, iNOS e inibendo la produzione delle citochine infiammatorie TNF-α, interleuchine (IL) -1, -2, -6, -8 e -12, MCP e proteina inibitoria della migrazione. Queste caratteristiche la rendono una molecola potenzialmente in grado di modulare i fenomeni infiammatori con una serie di meccanismi ad ampio spettro, in quanto interviene a diversi livelli lungo tutta la cascata dell’infiammazione. Pur essendo una molecola dal potenziale molto alto, la curcumina possiede un problema correlato alla sua ridotta biodisponibilità orale, dovuta sia alla natura chimica della molecola che ai meccanismi di detossificazione epatica (glucuronidazione), particolarmente attivi nei suoi confronti. Studi di cinetica molecolare hanno evidenziato come sia possibile aumentare notevolmente la biodisponibilità orale della curcumina intervenendo con un doppio meccanismo d’azione:
Mediante la combinazione di questi accorgimenti galenici, formulativi e farmaceutici, è possibile aumentare la biodisponibilità orale della curcumina di circa 260 volte, rendendo, di fatto, la sua somministrazione una risorsa dalle grandi potenzialità utilizzabili nella pratica quotidiana.
Per ottimizzare ulteriormente l’attività della curcumina, risulta interessante la contestuale somministrazione di acido α lipoico, un potente antiossidante e neuroprotettore. E’ importante ricordare, infatti, che tra i principali eventi correlati ai sopracitati fenomeni infiammatori, si assiste anche ad una notevole alterazione dei lipidi ematici e ad un aumento dello stress ossidativo, fattori che, combinati, possono portare ad una aumentata perossidazione lipidica con relativi effetti nocivi, sia a livello vascolare che a livello tissutale. Si assiste inoltre ad un ulteriore incremento dello stato infiammatorio generale. L’associazione di curcumina fitosoma, piperina e acido α lipoico, disponibile commercialmente con il nome LIPICUR®, può rivelarsi un prezioso strumento nell’interruzione del circolo vizioso che correla IPERTROFIA ADIPOCITARIA, INFIAMMAZIONE SUB-CLINICA, OBESITÀ E SINDROME METABOLICA.
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