Di Alexander Bertuccioli Per gentile concessione di Performance – Centro studi La Torre Edizioni
L’approccio all’alimentazione non è oggi facile. Non è facile perché siamo sommersi da informazioni sempre diverse, a volte discordanti e che comunque creano confusione nell’utente. E non di rado la creano anche ai professionisti del fitness. Se si parla di introduzione di carboidrati, giusto per circoscrivere un argomento, si possono trovare teorie solidissime legate alla dieta mediterranea che suggeriscono un consumo del 50-60% del proprio introito giornaliero, come è possibile imbattersi in una valida argomentazione che propone il 40% – la dieta a zona – così come trovare un sostegno scientifico alla dieta metabolica, che propone non più di 30 grammi al giorno di carboidrati. Ma a prescindere dall’indirizzo alimentare che si desidera seguire, risulta ormai poco sensata una pianificazione del consumo di carboidrati che non consideri l’evocazione del più immediato effetto biologico: l’innalzamento della glicemia e i processi fisiologici ad esso correlati.
La digestione di un alimento – e il conseguente assorbimento dei nutrienti assunti – causa un innalzamento di alcuni valori ematici: per quanto riguarda i cibi di origine glicidica, vengono stimolate le cellule β del pancreas a secernere insulina. L’insulina è uno dei principali ormoni a effetto anabolico: favorisce infatti la conservazione delle sostanze energetiche in eccedenza, facilitando il deposito dei carboidrati come glicogeno a livello epatico e muscolare e, dato che le scorte di glicogeno accumulabili sono rapidamente saturabili, favorisce la conversione e l’accumulo di ulteriori zuccheri eccedenti sotto forma di grassi.
L’impatto dei glicidi ingeriti sulla risposta insulinica non deve quindi essere valutato esclusivamente da un punto di vista quantitativo, ma anche da un punto di vista qualitativo, considerando il timing legato ai processi di digestione e assorbimento caratteristici dei diversi alimenti: l’ingestione di un determinato alimento in misura di per se non eccessiva da un punto di vista quantitativo, potrebbe esserlo da un punto di vista qualitativo, in quanto capace di innalzare velocemente il tasso glicemico ematico oltre le effettive richieste energetiche, superando la fisiologica capacità di accumulo sotto forma di glicogeno, favorendo di fatto la sintesi e l’accumulo di lipidi. Questo parametro qualitativo è stato definito “indice glicemico”, ovvero la capacità di innalzare i livelli di glucosio ematico rispetto a un alimento preso come riferimento (principalmente vengono utilizzate due scale di riferimento, una rispetto al glucosio e una rispetto al pane bianco).
Tale parametro viene ottenuto rapportando in percentuale l’area che si riferisce alla curva glicemica, ottenuta dall’alimento di riferimento, e quella ottenuta dall’alimento da testare. In base a questa classificazione gli alimenti vengono classificati come alto, medio e basso indice glicemico. Per integrare il concetto qualitativo di indice glicemico, con la componente quantitativa data dal contenuto in glicidi dei singoli alimenti è stato coniato in concetto di carico glicemico.
Il carico glicemico si ottiene moltiplicando l’indice glicemico per il contenuto in glicidi di un alimento espresso in grammi. In base al risultato ottenuto gli alimenti sono nuovamente suddivisi in una scala che prevede alto, medio e basso carico glicemico. Dalla somma del carico glicemico degli alimenti consumati nell’arco di una giornata è possibile valutare il carico glicemico giornaliero. Sulla base di queste considerazioni è così possibile pensare di utilizzare alimenti a medio-alto carico glicemico in programmi di muscolazione, particolarmente nelle fasi di recupero, mentre al contrario alimenti a basso carico glicemico possono rivelarsi particolarmente indicati contestualmente a programmi volti alla diminuzione di grasso corporeo. A livello internazionale è stata pubblicata nel 2002 una tabella che analizza il carico e l’indice glicemico di oltre 700 alimenti
Nella quotidianità non è ovviamente sempre possibile pianificare, tabelle alla mano, la propria alimentazione, per questo può risultare utile comprendere quali fattori contribuiscono a determinare il carico e l’indice glicemico così da potersi gestire con cognizione di causa.
Ovviamente la conoscenza di questi parametri non deve fare dell’indice e del carico glicemico l’ennesimo “dogma dietetico” ma al contrario, una volta compresi, devono fornire un ulteriore strumento per pianificare la propria alimentazione sinergicamente al proprio programma di allenamento
(Kaye Foster-Powell, Susanna HA Holt, Janette C Brand-Miller; Am J Clin Nutr 2002;76:5–56).