I disturbi correlati ad una incompleta digestione delle catene saccaridiche sono spesso alla base di notevoli problemi sia di carattere fisico (senso di malessere, gonfiore…) che di carattere sociale (ovvie conseguenze del meteorismo e della flatulenza). I principali “imputati” di questi inconvenienti sono le catene saccaridiche che, per diverse motivazioni, non vengono scisse in fase digestiva in maniera adeguata e assorbite correttamente, diventando un ottimo substrato per i processi fermentativi caratteristici della flora batterica intestinale, con le conseguenze appena accennate. Il caso più famoso è sicuramente quello del lattosio, disaccaride costituito da una molecola di beta D-(+)-galattosio e da una di D-(+)-glucosio, nei cui confronti si sviluppa un’intolleranza propriamente detta, dovuta alla reale carenza o assenza dell’enzima deputato alla sua scissione in glucosio e galattosio: la β-Galattosidasi, altrimenti detta lattasi. Si ritiene che questa situazione si verifichi, generalmente, come normale conseguenza dello svezzamento, con l’eccezione di tutte quelle popolazioni che per svariate motivazioni (carenza di esposizione alla luce solare, carenza di diverse fonti alimentari ecc) si sono “adattate” mantenendo la capacità di sintetizzarela β-Galattosidasi. Questo adattamento si ritiene comporti il mancato “silenziamento programmato” dei geni o di uno dei geni che codifica per questo enzima. A conferma di ciò è possibile osservare come la prevalenza dell’intolleranza al lattosio sia estremamente diversa nelle diverse popolazioni, dove fattori ambientali, culturali e sociali hanno prodotto fenomeni adattativi dagli esiti notevolmente diversi:
Dalla Tabella 1 emerge chiaramente come l’intolleranza al lattosio sia una condizione strettamente correlata a fattori genetici e epigenetici che possono conferirle una certa regionalità, rendendo di per sè nullo il paradigma, tanto caro ad alcune discipline, che vuole il latte e i suoi derivati come universalmente controindicati per chiunque e in qualunque stadio della vita al di fuori del periodo neonatale. Solitamente questa situazione viene affrontata con diverse strategie che vanno dall’astensione del consumo di prodotti contenenti lattosio, alle lavorazioni che prevedono fermentazione batterica e, quindi, una pre-digestione del disaccaride, per arrivare alla regolare e cronica somministrazione di probiotici con lo scopo di delegare a specifici ceppi batterici “il lavoro sporco”, ovvero la digestione del lattosio. Queste metodiche sono da tempo utilizzate con un relativo successo, anche se è necessario considerare che, in diversa misura, influenzano diversi parametri relativi alla qualità della vita del soggetto in trattamento. Si è parlato di relativo successo in quanto molto spesso tali approcci non sono in grado di eliminare completamente le manifestazioni cliniche delle intolleranze, in quanto non tutte sono da correlarsi in maniera esclusiva al lattosio. Infatti in molteplici alimenti appartenenti alla famiglia dei cereali, dei legumi, delle crucifere, in alcuni frutti sia secchi che freschi e in alcuni semi, sono presenti, in quantità sufficienti alla manifestazione del disturbo, i cosiddetti “Oligosaccaridi Non Digeribili” o OND. Tra queste molecole è possibile citare, per fare solo alcuni esempi, il raffinosio, lo stachiosio e il verbascosio. Queste molecole sono accomunate dal fatto di essere strutturate con legami α 1-4 che, di fatto, le rendono indigeribili, o quantomeno, anche in condizioni ideali, difficilmente digeribili per totale assenza, nell’uomo, di α-galattosidasi, enzima deputato alla digestione degli OND. Solitamente gli OND sono in grado di causare disturbi anche in soggetti non affetti da intolleranza al lattosio, ovviamente con una minore entità rispetto ai soggetti intolleranti. In tutti questi casi sembra che l’unico approccio realmente efficace sia quello di astenersi dal consumo di alimenti contenenti OND. Un approccio alternativo che permette di trattare sia le problematiche correlate al lattosio che quelle correlate agli OND è quello che prevede di affrontare il problema a monte, integrando l’alimentazione con gli enzimi carenti: la contestuale assunzione di α- Galattosidasi e β-Galattosidasi fornisce direttamente gli “operatori” biochimici in grado di operare la lisi del lattosio e degli OND nelle loro sub-componenti assorbibili, andando ad eliminare, di fatto, le componenti fermentabili e le relative manifestazioni cliniche. Ovviamente questo approccio implica l’assunzione, prima di ogni pasto contenete alimenti “a rischio”, dei suddetti enzimi nelle opportune forme farmaceutiche. Parlare di opportune forme farmaceutiche è un aspetto fondamentale in quanto occorre ricordare la natura proteica delle molecole enzimatiche, che le rende sensibili ai processi litici e denaturanti propri della digestione, particolarmente aggressiva a livello gastrico. Da questo è facile comprendere come somministrare enzimi in forma libera, anche contestualmente ad eccipienti, non sia una scelta vincente, in quanto, molto probabilmente, tali enzimi non saranno in grado di raggiungere il sito d’azione a causa dei processi litici e denaturanti propri dell’ambiente gastrico. Questo problema può essere ovviato grazie alle tecniche farmaceutiche volte a fornire “gastroprotezione” al formulato, così da garantirne l’arrivo a livello intestinale nella forma biologicamente attiva. L’approccio integrativo nell’affrontare l’incapacità digestiva di lattosio e OND dovuta a carenza enzimatica, può essere considerato efficace, sicuro e soprattutto praticabile in cronico nel miglioramento delle condizioni e della qualità della vita di chi ne è affetto.