L’industria agroalimentare è costantemente alla ricerca di nuove soluzioni che possano conciliare due necessità apparentemente opposte: quella di fornire prodotti in grado di soddisfare i gusti dei consumatori e quella di far sì che questi prodotti abbiano una connotazione salutistica o, quantomeno, non costituiscano un potenziale problema per la salute pubblica. In questa continua ricerca volta ad armonizzare la dicotomia gusto-salute, sono costantemente studiate nuove molecole al fine di soddisfare quello che forse è l’aspetto più voluttuario del gusto, ovvero la percezione della dolcezza.
È ormai comunemente noto come l’industria alimentare stia proponendo, ormai da diversi anni, soluzioni sempre più innovative per soddisfare il gusto dei consumatori, prestando particolare attenzione al carico energetico e all’impatto sul metabolismo glucidico che questi nuovi dolcificanti possono manifestare e come queste molecole subiscano fortune alterne tra meriti di salubrità e accuse di tossicità/cancerogenicità con tutto ciò che può essere detto tra questi due estremi. Infatti è stato possibile apprendere dai mezzi di informazione come i ricercatori, sistematicamente divisi in fazioni opposte, si siano dati battaglia per quanto riguarda la sicurezza relativa all’utilizzo del fruttosio, dell’aspartame, dell’acesulfame K etc., battaglie che, nella migliore delle ipotesi, hanno condotto a qualche ritocco da parte delle commissioni di vigilanza nel dosaggio giornaliero ammissibile negli alimenti e a tanto terrorismo psicologico. Questo “iter obbligato” è il destino anche dell’ultima, o come vedremo meglio, delle ultime molecole ad azione dolcificate proposte sul mercato, ovvero i glicosidi di derivazione vegetale da Stevia rebaudiana.
La Stevia rebaudiana è una pianta erbaceo-arbustiva perenne di origine Sud Americana appartenente alla famiglia delle Asteraceae. Raggiunge generalmente piccole dimensioni e trova il suo abitat ideale in ambienti con clima temperato (si dimostra poco resistente al freddo) e terreno poco compatto. L’utilizzo della Stevia da parte di numerose popolazioni indigene Sud-Americane si riconduce a tradizioni millenarie dove trova impiego sia in virtù delle sue proprietà dolcificanti che in terapia, essendo inclusa in numerose formulazioni caratteristiche delle rispettive medicine tradizionali.
L’impiego per cui attualmente la Stevia riscuote interesse nell’industria alimentare è quello dolcificante. Le principali molecole responsabili di quest’azione sono lo Stevioside e il Rebaudioside A, anche se sono presenti numerosi, in quantità progressivamente decrescenti, altri glicosidi steviolici come : Rebaudioside C, Dulcoside A, Rubusoside , Steviolbioside , Rebaudioside B, Rebaudioside D, Rebaudioside E e Rebaudioside F . Queste molecole sono isolabili praticamente da tutte le parti della pianta anche se si rinvengono a notevoli concentrazioni nelle foglie. Si stima, infatti, che le foglie essiccate posseggano un potere dolcificante (dovuto principalmente alla presenza di stevioside e rebaudioside A) da 150 a 250 volte superiore a quello del comune saccarosio. Analizzando biochimicamente alcune delle singole molecole è emerso come il rispettivo potere dolcificante sia nettamente superiore a quello del saccarosio: lo stevioside è tra le 110 e le 270 volte superiore, il rebaudioside A tra le 150 e le 320 volte, mentre il rebaudioside C tra le 40 e le 60 volte superiore(1).
I principali vantaggi di natura metabolica e tecnologica mostrati dai glicosidi della Stevia risiede rispettivamente nell’assenza di valore nutrizionale (è possibile classificarli infatti come molecole a zero calorie) e nella stabilità nel tempo e alle alte temperature, fattore che rende questi glicossidi, contrariamente a molecole di sintesi come l’aspartame, utilizzabili anche in prodotti da forno, bevande calde o prodotti alimentari a lunga conservazione (lunga shelf –life).
Ma, come anticipato nell’introduzione, con le potenzialità di utilizzo sono iniziate ad arrivare anche le prime critiche relative alla sicurezza di impiego. Infatti, basandosi su dati derivanti in prevalenza da studi in vitro, alcuni autori attribuirono ai glicosidi della Stevia o ai loro metaboliti effetti tossici per l’utilizzo ad alto dosaggio. In particolare gli effetti contestati sono: carcinogenicità, genotossicità e teratogenicità o, comunque, effetti avversi nel processo riproduttivo. In virtù di questi potenziali effetti nocivi, agenzie di vigilanza come l’FDA (Food and Drud Administration)(2) americana e l’EFSA (European Food Safety Authority)(3) europea, ne limitarono in via precauzionale l’utilizzo. Situazione che comunque non è durata a lungo in quanto, con il progressivo chiarimento degli aspetti biochimico-metabolici correlati alle molecole interessate, l’utilizzo del Rebaudioside è stato consentito dall’FDA in prima battuta esclusivamente negli integratori alimentari e successivamente anche come additivo (Food Additive) nelle preparazioni alimentari(4). Anche l’EFSA, con il moltiplicarsi delle evidenze scientifiche a sostegno dell’impiego in sicurezza dei glicossidi steviolici, ne consentì l’utilizzo nel 2010 come additivo alimentare(5).
A questo proposito risulta particolarmente significativa la relazione di “Scientific opinion” rilasciata dall’EFSA(6) nel 2010 dove si conclude affermando che i glicossidi steviolici non mostrano effetti carginogenici, genotossici o teratogenici e comunque non sono associabili a fenomeni tossici a carico dei processi riproduttivi, stabilendo nel modello animale (ratti monitorizzati per 2 anni) una dose senza effetto avverso osservabile (NOAEL No Observed Adverse Effect Level) di Stevioside pari a 967 mg Stevioside/kg peso corporeo/die, ovvero approssimativamente 388 mg steviolo-equivalenti/kg peso corporeo/die. Studi nel modello umano dimostrano che una dose giornaliera di glicosidi steviolici superiore a 1000 mg/die pari a 16.6 mg/kg peso corporeo/die per un modello umano di riferimento di 60 kg (corrispondente approssimativamente a 330 mg steviolo-equivalenti/die o a 5.5 mg steviolo-equivalentsi/kg peso corporeo/die) è generalmente ben tollerata, sia da individui con un normale metabolismo glicidico che da individui con diabete mellito di tipo 2.
Sulla base di questi dati il Panel di esperti dell’EFSA ha stabilito un assunzione giornaliera accettabile (ADI – Acceptable Daily Intake) per i glicosidi steviolici espressi come steviolo-equivalenti, di 4 mg/kg peso corporeo/die utilizzando un fattore di sicurezza di 100 sui parametri precedentemente espressi con la NOAEL per lo Stevioside, ovvero l’ADI è 1/100 del dosaggio considerato NOAEL.
Considerati i criteri alla base di questi parametri, l’elevato potere dolcificante e le caratteristiche biochimiche dello Stevioside, è senza ombra di dubbio possibile concludere che l’utilizzo nei limiti dell’assunzione giornaliera consigliata è assolutamente sicuro e permette di sfruttare questa nuova risorsa in tutte le sue potenzialità.
1) Phillips, K.C. “Stevia: steps in developing a new sweetener”, 1989, pp 1-43 , Developments in sweeteners, Volume 3. Elsevier Applied Science, Londra
2) http://www.fda.gov/ICECI/EnforcementActions/EnforcementStory/EnforcementStoryArchive/ucm105955.htm
3) http://www.food.gov.uk/multimedia/pdfs/stevioside.pdf
4) http://www.accessdata.fda.gov/scripts/fcn/gras_notices/grn000253.pdf
5) http://www.efsa.europa.eu/en/topics/topic/additives.htm
6) Scientific Opinion on the safety of steviol glycosides for the proposed uses as a food additive EFSA Journal 2010;8(4):1537
A disposizione bibliografia Scientific Opinion EFSA